PROGETTO PRIMO VIOLINO DI ANIMA
Consegna del Primo Violino di ANIMA
ELISA CECCHINI
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La Storia di ANIMA
Questa storia inizia più di 250 anni fa, forse 300.
Verso la metà del Settecento, le radici di colui che è destinato a diventare l’abete bianco più alto e longevo d’Europa affondano dentro la terra degli altipiani cimbri. Nessun camoscio estirpa il suo germoglio, nessuna ghiacciata uccide la sua linfa, nessuna guerra incendia il suo bosco e, soprattutto, per tutti questi secoli, nessuna mano umana fa di lui legna o legname. Diventa l’Avez del Prinzep, che nelle varie scritture e pronunce possibili, tra la lingua cimbra e il dialetto trentino, altro non significa che l’Abete del Principe. Vero è che le sue origini sono in un tempo in cui su quelle terre regnava il Kaiser ma, a dispetto del nome, nessun principe può fregiarsi di aver avuto in dote quest’albero maestoso.
E se oggi il suo fusto ricade territorialmente nel Comune di Lavarone, pare che il nome «Avez del Prinzep» sia legato alla tradizione secondo cui ad ogni sindaco cimbro veniva dato in dotazione un albero, e che quell’abete sia stato assegnato al borgomastro di Luserna, che di cognome faceva «Nicolussi Principe». Altre narrazioni ci dicono che quella pianta era denominata il Prinzep perché la più bella, la più maestosa, la più forte, all’interno di una foresta abitata da molti abeti giganti.
Ciò su cui non vi è dubbio è che fosse lui il re degli altipiani cimbri: Sua Altezza misurava 54 metri di verticalità, 5,6 metri di circonferenza ed una datazione stimata, al 1997, di 244 anni.
Sopravvissuto a due guerre mondiali che anche in quei territori lasceranno pesanti segni, per assurdo è lo sviluppo del dopoguerra a minacciare la bellezza della conca di Malga Laghetto che lo ospita e la stupidità umana a minare la sua stessa vita: gli anni tra il 1950 e il 1970 portano anche lì gli impianti sciistici ed una lottizzazione allucinante di cemento e alluminio. Abbruttisce ciò che gli sta attorno, ma lui è ancora lì, resiste.
È invece il fuoco di bivacco di una serata di baldoria, vogliamo pensare tra vino e canzoni, a veder bruciare la base del suo fusto, creando una carie che, col tempo, andrà a minare la sua forza,
permettendo ad insetti e parassiti di addentrarsi in lui come un tumore. Diventa un gigante coi piedi d’argilla. Ma è ancora lì. Il primo volto di questa storia si chiama Damiano. È un uomo dei boschi, è il custode forestale degli altipiani cimbri. È lui che nel mezzo della notte del 13 novembre 2017 sveglia il sindaco di Lavarone, il giovane Isacco, che quasi potrebbe essere suo figlio, per comunicargli che l’Avez è schiantato sotto la furia di una tempesta che precede di un anno esatto la celebre Vaia. Caduto il gigante, orfano il bosco del suo principe regnante, finita l’attrattiva per i turisti, crollata la realtà della storia, interviene una nuova realtà del presente, del da farsi, del fare memoria. Nascono iniziative come nascevano funghi ai suoi piedi: una conferenza, il progetto di un ecomuseo, un libro per bambini…
Ma soprattutto: cosa fare di quel legno, in qualche modo “sacro”? Dopo il merchandising delle rondelle-ricordo, con stampato un marchio coniato per l’occasione, gliocchiali firmati e le penne per firmare, in questa storia entra un liutaio, Gianmaria. Se l’intento è tenere viva la memoria, dare voce all’albero stesso è forse la più bella narrazione che si possa avere.
Affinché lo schianto di quella notte non diventi una fine ma solo l’asse di simmetria tra un vissuto già esperito ed una nuova vita a venire, tra un prima di secoli ed un dopo che possa ambire ad un
tempo altrettanto lungo, realizzare degli strumenti ad arco col legno dell’Avez è il modo per non far morire la sua anima. Se per l’uomo è solo presunta, i violini, le viole e i violoncelli un’anima l’hanno davvero: è un cilindro di legno che mette in contatto il piano armonico col fondo dello strumento, la pancia con la schiena; non è incollata perché la colla non smorzi le vibrazioni che deve veicolare, e quindi il liutaio inserisce l’anima alla fine di tutta la lavorazione, la incastra, dopo averla lungamente limata, passando attraverso le f, i fori di risonanza; non si vede ma c’è, quest’anima, e fa vibrare lo strumento, e fa giungere a noi il suono (e mette in vibrazione altre anime?).
Ma non si fanno gli strumenti con l’abete bianco!
Secoli di vantata liuteria italiana insegnano che il piano armonico e l’anima dei nobili strumenti ad arco si realizzano con l’abete rosso di risonanza, non con il bianco, il “volgare” Abies alba. Fasce, fondo, manico e riccio sono in acero, la tastiera ed i piroli in ebano… Non c’è spazio per l’abete bianco. Ma un sogno è un sogno, e diventa progetto, anche grazie ad alcuni scritti che documentano la costruzione di strumenti con l’abete bianco, ad opera di liutai non soltanto trentini. Così Damiano realizza gli spacchi su indicazione di Gianmaria. Gli spacchi da cui si ricavano letavole armoniche si fanno con l’accetta, non con la sega elettrica. Il legno ha poi stagionato tre anni abbondanti nella segheria comunale di Lavarone. Adesso si trova a Zurigo, dove Gianmaria, unico maestro liutaio del Trentino, ha nel frattempo aperto laboratorio e atelier. Tra una riparazione ed una nuova commissione, mette le mani sull’Avez…
Questa parte di storia è già stata raccontata dalla viva voce dei protagonisti, per una puntata della trasmissione Geo su Rai3, per la regia di Renzo Carbonera. Qui l’estratto che parla dell’Avez che sta diventando ANIMA:
https://www.youtube.com/watch?v=Z9_-bW_AqvU
I soldi tolgono sempre un po’ di romanticismo alle storie, ma servono, anche per portare avanti i sogni.Il Comune di Lavarone ha finanziato il lavoro di Gianmaria, la realizzazione degli strumenti: a lavoro terminato la Magnifica Comunità di Lavarone sarà proprietaria di un quartetto d’archi davvero speciale, unico al mondo nel suo genere. Gli strumenti potranno andare in prestito a più o meno prestigiosi quartetti, suonare in sale più o meno note, o magari restare alla scuola di musica, a disposizione degli allievi più meritevoli. Potranno diventare protagonisti di un concorso (in musica si usa così) o finire in qualche collezione o museo. Quel che è certo è che viaggeranno e, con essi, il legno, il suono, la voce, la storia dell’Avez: all’interno, tra l’anima e la firma di Gianmaria, avranno il marchio dell’Avez del Prizep.La storia non è finita, anzi è appena iniziata. La racconterà anche un percorso espositivo curato dal MuSe di Trento (e qui sì ti rimando alla brochure cartacea che ti ho lasciato e che allego anche a questa mail). La mostra sarà allestita ad inizio 2024 nella lobby del museo e sarà leggera, agile, per poter essere facilmente trasportata, diventare itinerante e seguire un’altra narrazione: uno “spettacolo”, un racconto in musica, dal vivo.
Nei teatri, presso i festival che parlano di alberi e di suoni, nelle stagioni concertistiche classiche (se avranno la lungimiranza di aprirsi a qualcosa di diverso).
Uno spettacolo, sì, ma anche una narrazione e una “celebrazione”. Un rito collettivo, in cui la componente emozionale e quella razionale si fondono esattamente come musica e testo, ascolto e canto, comprensione e partecipazione. Uno spettacolo che racconta ANIMA, che porta dentro al suono delle Alpi dando voce al legno dell’Avez del Prinzep. E che coinvolge il pubblico, rendendolo partecipe.
Un concerto-spettacolo in cui il quartetto d’archi è protagonista e ANIMA diventa titolo e soggetto della performance, in cui la narrazione di ciò che è stato si fonde con i suoni del presente, e il pubblico realizza i suoni e i rumori del bosco.
Per le note musicali la penna sarà di Giovanni Bonato, per le parole quella di Marco Albino Ferrari. Sulla scena, il quartetto d’archi dell’Avez, l’Alphorn, l’affascinante corno delle Alpi, e un attore.
Non un giornalista o una cantante… L’anima dell’albero sarà evocata dal suono dell’Alphorn, che è già lontananza, nel timbro e nel nome. Il coro del pubblico sarà batter di sassi, sfregare di legnetti e vento di rami al vento, in base al momento della storia, ad una partitura fatta di parole, note e suoni. Perché tutto ha origine e fine nel
suono, che adesso c’è e poi non ci sarà. Sarà anche suono di labbra mute chiamate ad intonare una tonica ed una dominante, su cui prima il corno e poi il violino canteranno l’Alpenthema di Brahms dalla prima sinfonia.
Il tempo di questa storia è diventato il futuro, perché è ancora da scrivere. Il quartetto d’archi di ANIMA ha già una casa, è il Comune di Lavarone; il percorso espositivo di ANIMA ha già una casa, è il Muse.
Il racconto di ANIMA non ha ancora una casa di produzione, una regia, una drammaturgia, una voce. Io sono il padre (non mi piace “regista”) di tutta questa storia e di tutte le persone che ci sono già dentro.
E così oggi io te l’ho raccontata. Perché credo che tu saresti la persona giusta per raccontarla. Anche se non so più se questa storia abbia davvero un’anima o se sia semplicemente caduto un albero nel quale ho lasciato la mia.
Giovanni Costantini Vicenza, 4-6 maggio 2023
19 Agosto 2023 – AVEZ DEL PRIZEP – ore 17.00